L’aumento dei consumi di cibi ultra-processati incide pesantemente sull’obesità, cresciuta del 36% negli ultimi 20 anni in Italia. È il risultato più importante dell’ultima ricerca condotta dalla Fondazione Aletheia e pubblicata per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, dal tema “Malattie, cibo e salute“.
Il consumo di alimenti altamente trasformati sta aumentando tra i giovani, in particolare nella fascia d’età compresa tra 5 e 30 anni. Si tratta di merendine, bevande gassate, snack salati che contengono nella maggior parte dei casi una molteplicità di additivi chimici come coloranti, dolcificanti artificiali e molto altro. Tali additivi, sebbene considerati sicuri, non sono salubri, soprattutto a causa del cosiddetto effetto cocktail, ovvero la loro assimilazione ripetuta durante la giornata. Un fenomeno che rischia di compromettere la diffusione di modelli nutrizionali sani, come la Dieta Mediterranea, che rappresenta una pietra miliare della nostra cultura alimentare.
La situazione italiana è comunque migliore rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti dove i cibi ultra-processati costituiscono il 60% dell’apporto calorico medio per gli adulti e il 70% per gli adolescenti. Secondo il recente studio “Global Burden of Disease”, in Nord America l’obesità e l’iperglicemia legate a una cattiva alimentazione sono tra le principali cause di morte.
Attualmente, il sovrappeso e l’obesità interessano il 46% della popolazione italiana, pari a oltre 23 milioni di persone in maggiore età, ma la situazione non è rassicurante nemmeno per adolescenti e giovani. Le stime suggeriscono che una riduzione del 20% delle calorie provenienti da cibi ad alto contenuto di zuccheri e grassi potrebbe prevenire fino a 688mila malattie croniche entro il 2050. Ne beneficerebbe anche l’economia del Paese: una corretta alimentazione potrebbe garantire un risparmio di 12 miliardi di euro per i cittadini italiani.
I costi sanitari legati alle malattie dovuto al consumo di cibi grassi, secondo il rapporto, comportano una contrazione annua del pil europeo del 3,3%. Entrando nel dettaglio, l’incremento del sovrappeso legato a stili nutrizionali errati rappresenta il 9% della spesa sanitaria nazionale e ad ogni italiano costa un’extra “tassa” annuale di 289 euro. In tal senso la dieta mediterranea, iscritta nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco, ingloba ed esprime differenti valori di contrasto a questo fenomeno.
“La dieta mediterranea – ha specificato Claudio Franceschi, professore emerito di immunologia all’Università di Bologna, tra gli autori della ricerca – rappresenta indiscutibilmente un elemento cardine per la salute dei cittadini poiché ha una serie di effetti favorevoli sulla composizione corporea, lo stato infiammatorio cronico caratteristico dell’invecchiamento (“inflammaging”) ed anche su tutta una serie di parametri cognitivi”.
Da qui, dunque, i rischi di consumi elevati di cibi ultra-processati. Il rapporto evidenzia, infatti, come una riduzione del 20% delle calorie assunte da alimenti ad alto contenuto di zucchero, sale e grassi saturi potrebbe prevenire in Italia 688mila malattie croniche entro il 2050 e far risparmiare 278 milioni di euro l’anno di spesa sanitaria: circa 7 miliardi nei prossimi 25 anni.