Tempi duri per l’agricoltura italiana. Diminuisce la sau, a causa del fatto che oggi la produzione di beni agroalimentari è compressa tra città senza piani urbanistici intelligenti, cambiamenti climatici che desertificano e l’avanzamento della natura negli spazi abbandonati dall’uomo. Si coltiva sempre meno perché c’è meno superficie da utilizzare, asfalto e cemento ringraziano.
L’aumento del consumo di suolo, secondo lo studio di Ispra, non va di pari passo con la crescita demografica e in Italia cresce più il cemento che la popolazione: nel 2019 nascono 420 mila bambini e solo 404 mila nel 2020, ma intanto il suolo impermeabilizzato avanza di 57 chilometri quadrati all’anno. Il ritmo di questa distruzione è di 2 mq al secondo, dati alla mano.
E ciò che è peggio è che lo spreco di suolo non si ferma nemmeno nelle aree a significativo rischio idrogeologico e sismico. La Liguria è la regione con il valore più alto di suolo impermeabilizzato in aree a pericolosità idraulica elevata (quasi il 30%). Il cemento ricopre il 4% delle zone a rischio frana, il 7% di quelle a pericolosità sismica alta e oltre il 4% di quelle a pericolosità molto alta. Passando ai dati positivi ricordiamo che la Valle d’Aosta, con solo 3 ettari di territorio impermeabilizzato nell’ultimo anno, è la prima regione italiana vicina all’obiettivo “consumo di suolo zero”. E si dimezza la quantità di suolo perso in un anno all’interno delle aree protette.
Campi coltivati, una delle poche speranza per i giovani
Possedere meno suolo a disposizione significa avere meno biodiversità, maggiori rischi idrogeologici, meno terreni fertili da coltivare. Nonostante la crisi provocata dall’emergenza Covid, si registra uno storico balzo del 14% del numero di giovani imprenditori agricoli, rispetto a cinque anni fa (analisi su dati Unioncamere). Sono oltre 55 mila gli under 35 alla guida di imprese agricole e allevamenti e l’Italia è leader europeo nel numero di aziende condotte da giovani, anche grazie alla svolta green nei consumi e nel lavoro. Purtroppo c’è anche questo fattore da segnalare, più di un giovane su due (il 55%) fra i quasi 39mila che hanno presentato domanda per l’insediamento in agricoltura, si è visto respingere il proprio progetto imprenditoriale a causa degli errori di programmazione delle amministrazioni regionali, con il rischio di perdere i fondi messi a disposizione dall’Unione europea.
Ma c’è dell’altro; in quasi un terzo del Paese è aumentato (dal 2012 ad oggi) il degrado del territorio dovuto anche ad altri cambiamenti di uso del suolo, alla perdita di produttività e di carbonio organico, all’erosione, alla frammentazione e al deterioramento degli habitat. Sono circa 14 milioni in Europa gli ettari sensibili al fenomeno, fino a pochi anni fa estraneo al nostro continente.
Se i terreni agricoli diminuiscono e il deserto ha ormai attraversato il Mediterraneo, le foreste sono in espansione. In Italia hanno raggiunto livelli mai visti prima nel corso degli ultimi secoli: 11,4 milioni di ettari, comprese le aree boscate come gli arbusteti, pari a quasi il 40% della superficie nazionale, con un incremento del 75% negli ultimi 80 anni.
In montagna i boschi hanno occupato terreni incolti per lo spopolamento delle valli e quelli non più utilizzati per i pascoli. Altre terre perse per l’agricoltura. Forse è proprio dalle aree interne del Paese che occorre ripartire, con azioni di protezione del suolo e un uso sostenibile di terra e acqua, nella speranza di fermare il degrado dei terreni.