Il suolo fertile è una risorsa preziosa: produce alimenti, assorbe CO2, permette di fatto la vita sul Pianeta. Ma è anche una delle più ignorate e trascurate. Per l'Agenzia europea per l'ambiente (EEA), l'attività agricola contribuisce "a una parte significativa della perdita di suolo". Solo in termini economici, l'erosione del suolo costa 1,25 miliardi di euro all'agricoltura europea in perdita di prodotto (rapporto EEA "The European environment state and outlook 2020").
Secondo il rapporto presentato dalla Global Soil della FAO, State of knowledge of Soil Biodiversity, tra le cause principali del degrado ci sono l'agricoltura intensiva, con l'uso eccessivo di fertilizzanti e pesticidi di sintesi che danneggiano gli organismi viventi che abitano il suolo. L'agricoltura biodinamica e biologica puntano in primo luogo alla salvaguardia di questa risorsa insostituibile. La rigenerazione del suolo attraverso pratiche di agricoltura biodinamica arriva a valere 774 euro l'anno per ogni ettaro coltivato, in termini di benefici ecosistemici (come cura e ripristino della fertilità organica del suolo, lotta all'erosione, conservazione dell'acqua e della biodiversità). A solo titolo di esempio, se tutti i 173 milioni di ettari di superficie agricola europea fossero coltivati con questo standard, il guadagno complessivo virtuale sarebbe iperbolico (ben oltre i 100 miliardi di euro).
A fornire i dati, in occasione della Giornata mondiale del suolo che si tiene domani 5 dicembre, una ricerca avviata e in fase di sviluppo da NaturaSì – la maggiore realtà del bio italiano – con il supporto della società di consulenza tedesca Soil & More Impacts sui risultati di alcune aziende biologiche e biodinamiche del suo "ecosistema". Per la elaborazione dei dati sono stati utilizzati i principi contenuti nel report FAO Full Cost Accounting.
Specificamente, su una delle aziende maggiormente rappresentative dello sforzo intrapreso dal sistema del bio italiano, l'azienda agricola Biodinamica San Michele a Cortellazzo (Ve), i dati sono particolarmente rilevanti. Nell'azienda agricola (143 ettari coltivati da 6 anni con metodo biodinamico) si calcola che la quantità di carbonio contenuta in un ettaro di terreno è aumentata mediamente di 2,2 tonnellate ettaro in un solo anno, dal 2019 al 2020. Un risultato che dà luogo a benefici a cascata: la materia organica, ossia micro e macro flora e fauna, i residui animali e vegetali e le varie forme di humus, dei primi 20 centimetri di suolo, cresce nello stesso periodo di 3,8 tonnellate/ha; la CO2 che viene sottratta dall'atmosfera e incorporata nel suolo supera le 8 tonnellate l'anno per ognuno degli ettari coltivati.
“La ricerca che stiamo realizzando alla San Michele dà dei risultati importanti", spiega Fausto Jori, Amministratore delegato di NaturaSì. "Si tratta di buone pratiche che vorremmo fossero adottate da molte altre aziende agricole, naturalmente adattandole al pedoclima e al contesto delle aziende stesse".
Alla San Michele, come in molte altre realtà del bio, per fertilizzare i campi si utilizzano letame bovino e scarti di coltivazione prodotti in azienda correttamente compostati assieme a compost vegetale proveniente da potature del verde di zone limitrofe. Si fa uso inoltre della pratica delle "cover crops" o dei sovesci, cioè di colture che tengano il terreno costantemente coperto da un manto vegetale che impedisce la perdita di sostanza organica; si applica la riduzione delle lavorazioni del terreno per frequenza, intensità e profondità. E sono stati inoltre ricreati 20 ettari di siepi e boschi che arricchiscono la biodiversità dell'agroecosistema.
“La crisi ecologica ci pone di fronte a una sfida globale: l'agricoltura può e deve diventare parte della soluzione, mentre oggi, nel suo complesso, è ancora parte del problema", commenta Fausto Jori. "L'agricoltura biologica stocca nei suoi suoli mediamente il 3% di sostanza organica, quindi di carbonio. Nei terreni convenzionali questa quantità scende sotto il 2%, e nelle zone dove è maggiore lo sfruttamento dei terreni, come la Pianura Padana, questa percentuale crolla all'1%, secondo i dati forniti da Ispra. E questo significa che i suoli sono fertili solo perché le coltivazioni sono sostenute da composti chimici di sintesi, e che i terreni sono poveri e vengono dilavati o erosi con la pioggia e il vento. Una situazione che si ripercuote sul sistema agricolo e produttivo, ma anche e soprattutto sulla salute delle persone e sull'ambiente. Le aziende di NaturaSì, assieme al biologico italiano, stanno facendo la loro parte. A chiederlo è anche l'Europa, che nella strategia Farm to Fork ha fissato l'obiettivo di dimezzamento delle perdite di nutrienti naturali dai suoli coltivati da qui al 2030".