Cresce del 30 per cento nell’ultimo anno il giro d’affari complessivo dell’agromafia. Conti alla mano l’illecito è pari a 21,8 miliardi. Il dato è stato comunicato dal quinto Rapporto Agromafie2017 elaborato da Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.
Il fenomeno interessa l’intera filiera del cibo, non solo la produzione ma anche il trasporto, la distribuzione e la vendita. Le mafie, appaltato ai manovali l’onere di organizzare e gestire il caporalato e altre numerose forme di sfruttamento, condizionerebbero il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, oltre che il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e la creazione ex novo di reti di smercio al minuto.
Tra tutti i settori “agromafiosi”, quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e immediatamente percepito come tipico del fenomeno. In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d’Italia e anche all’estero, forti dei capitali assicurati dai traffici illeciti collaterali. Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5.000 locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città.
Allo stesso tempo la graduatoria delle province italiane rispetto all’estensione e all’intensità del fenomeno agromafia evidenzia una concentrazione del fenomeno soprattutto nel Mezzogiorno ma illustra la presenza di rilevanti realtà del Nord, su tutte Genova e Verona, per i traffici finalizzati al ricco business del falso Made in Italy.
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