Brutte notizie per gli appassionati enologi e per tutti coloro che sposano la linea del presidente Trump. Il cambiamento climatico trasformerà il vino che beviamo: è quanto emerge da una ricerca uscita su “Nature”. Anche se gli Accordi di Parigi fossero rispettati, nuove temperature ed eventi meteorologici estremi – come ondate di calore, forti precipitazioni e siccità – metteranno a rischio le varietà di vite che consumiamo. Secondo lo studio, è indispensabile una stretta collaborazione tra coltivatori e ricercatori per lo sviluppo di vitigni capaci di adattarsi ai mutamenti climatici.
Oggi nel mondo vengono coltivate 6-10.000 varietà di vite comune (Vitis Vinifera), la cui maggioranza è utilizzata per la produzione di vino. Se in Europa le coltivazioni sono molto diversificate, altro è lo scenario nel resto del mondo: in Australia, Cina e Stati Uniti ci si concentra principalmente sulle 12 “varietà internazionali”, che prendono il nome dalla loro diffusione in diverse aree e climi e che rappresentano meno dell’1% del totale. Il risultato è una grande uniformità nella produzione del vino, conseguenza, secondo lo studio, sia della globalizzazione del mercato sia di un consumo che si orienta su pochi nomi.
Per affrontare i cambiamenti climatici i coltivatori si dovranno concentrare su varietà resistenti alla siccità e alle ondate di calore, perché, anche se riducessimo molto le emissioni, le previsioni dicono che aree come l’Europa del Sud e l’Australia nord-occidentale diventeranno troppo calde per un vino di qualità.
Sarà dunque necessario adattarsi trovando varietà che resistano a tali effetti, ma è importante che siano autoctone e legate ai territori, per rispondere al problema dell’omologazione che caratterizza la coltivazione del vino e il suo consumo. Ma sarà anche necessario abbattere le emissioni in agricoltura, con lo sviluppo di viticultura biologica e biodinamica.
Ovvio, non sarà semplice. In Europa esistono leggi rigide che permettono di etichettare i vini solo secondo la varietà e non secondo la regione. Nonostante le molte difficoltà, è comunque la soluzione più vantaggiosa, perché spostare i vigneti in zone divenute più calde e idonee alla coltivazione avrebbe una serie di conseguenze indesiderate: insieme alla perdita di biodiversità nelle nuove aree e alla mancata tutela di vigneti che sono patrimonio Unesco, ci sarebbe anche un peggioramento della qualità del vino causato dalla perdita di esperienza acquisita in generazioni. Secondo l’articolo di “Nature” per rendere praticabile questa proposta saranno essenziali tanto un cambio di leggi in materia, quanto una stretta collaborazione tra ricercatori e coltivatori: solo così si potranno coltivare e studiare varietà potenzialmente adattabili alla siccità, alle forti precipitazioni e alle ondate di calore per testarne la resistenza ai cambiamenti climatici.