L’Italia importa l’80% del fabbisogno nazionale di noci nonostante abbia uno dei prodotti qualitativamente più apprezzati, la noce di Sorrento. Fra i primi passi individuati per creare valore aggiunto, c’è quello dell’istituzione di un marchio di qualità che abbracci tutte le produzioni di noce di Sorrento esistenti in Campania, ma non escluderebbe la possibilità di richiedere una certificazione Dopche sancisca il legame con il territorio e la ricerca sul fronte del miglioramento varietale.
Il problema principale nel Sud è l’atomizzazione delle aziende che hanno una dimensione media di 1,7 ettari. L’incapacità di riuscire ad aggregare l’offerta ci porta a soccombere con l’aumentare dei volumi provenienti dall’estero. La conseguenza è che negli ultimi tre anni i prezzi sono diminuiti fino al 30% con quotazioni che oscillano, quest’anno, tra i 2,5 e i 3 euro.
La situazione della nocicoltura italiana diventa ancor più precaria se si considera che i competitor globali, come la California, la Turchia o il Cile stanno cavalcando il momento di auge della frutta secca investendo massicciamente in nuovi impianti di noci che, già a partire dai prossimi tre anni, entreranno in produzione incrementando almeno del doppio i volumi già presenti sul mercato internazionale.