Le abitudini alimentari stanno cambiando in tutto il pianeta e secondo l'ultimo rapporto dell'agenzia Onu sullo Stato della pesca e dell'acquacoltura, il consumo pro capite è arrivato a 20 chilogrammi l'anno, pari a circa il 6,7 per cento delle proteine totali. Il consumo è a livelli doppi rispetto agli anni Settanta, e cresce a ritmi molto superiori alla crescita della popolazione. Come dire che la passione per il pesce aumenta, mentre il patrimonio sottomarino si esaurisce. Quello della Fao è un invito all'utilizzo responsabile, tanto più che l'allevamento è ormai in grado di fornire quasi la metà del pesce che finisce in tavola.
Secondo il rapporto dell'agenzia, "quasi un terzo degli stock di pesce sono prelevati a ritmi biologicamente insostenibili", cioè a livelli triplicati rispetto a quarant'anni fa, cioè ancora, ad una velocità che non consente il ricambio. La situazione è ancora più preoccupante per il Mediterraneo, un mare chiuso. A rischio sono i pesci sui piatti di tutti i giorni: orate, merluzzi, muggini, sogliole.
Nel 2014 il prelievo ha raggiunto 93,4 milioni di tonnellate: in testa il merluzzo d'Alaska, definito "la più grande riserva di pesce commestibile nel mondo", ha superato l'acciuga del Cile, ma è andata bene anche la pesca di tonno, gamberi, crostacei e cefalopodi. A inseguire il tesoro sommerso sono 4,6 milioni di barche da pesca, il 90 per cento attive nelle acque di Asia e Africa. E in gran parte si parla di attività di piccola scala: secondo il rapporto Fao solo 64 mila sono lunghe 24 metri o più.
L'esportazione del pesce "vale", stando ai dati del 2014, attorno ai 148 miliardi di dollari: ma è importante soprattutto per i paesi in via di sviluppo. Ma la carta vincente è l'acquacoltura, in grado di produrre 73,8 milioni di tonnellate di pesce, crostacei e molluschi per l'alimentazione umana. E metà di questa produzione viene da specie non alimentate dall'uomo, e dunque non comporta il sacrificio di altre proteine sottraendole all'uso umano. E non è vero che il pesce allevato è meno buono di quello selvaggio.
A guidare il boom nell'allevamento subacqueo c'è la Cina, ma anche Vietnam, Cile, Indonesia e tante nazioni africane stanno facendo la loro parte. Il contributo dell'acquacoltura purtroppo non compensa i danni della pesca illegale, con prelievi sproporzionati, spesso non autorizzati dai paesi costieri oppure concordati da regimi autoritari, a danno dei piccoli pescatori. Nei giorni scorsi è entrato in vigore l'Accordo internazionale sulle misure per gli stati di approdo, che impone controlli ai pescherecci nei paesi dove vanno a scaricare il pescato. E’ un inizio ma resta il problema dello sfruttamento eccessivo, delle navi che svuotano i mari, stivando anche 3700 metri cubi di pesce e di fatto rendendo impossibile la concorrenza dei pescatori artigianali.
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