“Diteci se conoscete un prodotto che oggi costa come venti anni fa. Anzi meno. Perché di questo si parla. Ve lo diciamo noi: il latte. Nel 1996 il prezzo medio del latte crudo alla stalla era di 43 centesimi al litro. Oggi siamo arrivati a 34. Senza cadere nella trappola di quegli agricoltori che piangono miseria, è facile capire che qualcosa non va”. E’ questo l’attacco dell’inchiesta che l’ultimo numero del settimanale “Tempi” dedica all’agricoltura. Con un taglio originale: basta con la retorica del “cambio vita”, si fa presto a dire: c’è la crisi, mi do ai campi. Insomma, “Come è dura l’agricoltura”, spiega il pezzo di Daniele Guarneri sin dal titolo.
La sintesi è quanto mai pragmatica: è difficile vivere di agricoltura. A conferma, quante cascine vediamo abbandonate nelle nostre campagne? Non si contano più. “Eppure continuano a raccontarci la favola che dice di un ritorno dei giovani in campagna – spiega il settimanale cattolico diretto da Luigi Amicone.
L’articolo compie una disamina quanto mai realistica, ripercorrendo la storia delle nostre campagne, dove un tempo la terra veniva lavorata da tutti, dai nonni ai bambini, dalla mattina alla sera, mentre poi s’è preferito il lavoro in città, decisamente meno faticoso, mentre i figli sono finiti a scuola.
A ciò va aggiunto, come ricorda l’inchiesta, che nel corso degli ultimi vent’anni tutti i costi di produzione sono aumentati: mangimi, carburante, macchinari, lavoro umano, energia elettrica. “Come fanno le aziende a stare in piedi? – si domanda l’articolista. “Non possono, infatti chiudono, oppure diventano le migliori clienti delle banche. I problemi sono tanti e anche di natura politica, non solo nazionale”.
Certo, negli ultimi anni, con la crisi e la forte disoccupazione, l’agricoltura è tornata ad avere un certo appeal. Ad invogliare i ragazzi anche le politiche regionali, nazionali ed europee, laddove non manca persino un premio di insediamento. Però, a ben vedere i numeri, sulle 45.993 nuove partite Iva del 2014 in questo settore, solo una su cinque è stata aperta da un under 35. Insomma, quella dei giovani che ritornano sui campi è una favola. Una favola metropolitana. Perché, a ben vedere, nonostante le nuove tecnologie o il fascino del bio, la campagna è fatta ancora di “sudore, polvere, merda (quella vera, fondamentale in campagna: è il cibo della terra), urina, puzza. E pure qualche maledizione, perché il raccolto non è quello previsto: c’è stata troppa pioggia, sole, vento, i funghi, le cimici, la peronospora, le vacche hanno la diarrea o le mammelle infiammate. Senza dimenticare la burocrazia (partita Iva, tasse, fatture, controlli, contratti)”. Come dar torto all’articolista?
Insomma, oggi lavorare in campagna, vivere di agricoltura, per certi versi è più difficile che all’epoca dei nostri nonni.
“Tempi” ha incontrato un produttore di latte di San Daniele Po, piccolo comune da un migliaio di anime a un passo dal grande fiume, in provincia di Cremona. Azienda da 205 ettari, cioè una superficie pari a oltre 280 campi da calcio. Tantissimi bovini da latte, 460 capi di cui 220 in lattazione. Cosa vuol dire oggi portare avanti un’azienda così? “Si inizia prima dell’alba, le vacche vanno munte un paio di volte al giorno. Poi le stalle vanno tenute pulite, occorre raccogliere il letame, pensare ai campi, arare, concimare, irrigare e raccogliere quello che nel mio caso è l’alimento principale degli animali (il foraggio). Il latte è un prodotto altamente nutritivo, va tenuto in cisterne a determinate temperature e consegnato nel giro di 4 o 5 ore, altrimenti deperisce. Otto ore di lavoro? Non scherziamo, si lavora finché serve. Chiariamo subito una cosa: in natura non comanda l’uomo. Vuoi tornare a lavorare i campi? Mettiti in testa che non tutto va secondo i programmi. E la passione non basta”.
Racconta: “Con il prezzo del latte attuale, rispetto al 2014, ho incassato 107 mila euro in meno solo nei primi otto mesi dell’anno. E il quantitativo di produzione è stato lo stesso”. Come si stabilisce il prezzo del latte? “In Italia – spiega il produttore – il prezzo si calcola con una trattativa tra le industrie che lavorano il latte e gli allevatori. Il tutto in totale assenza di regole prestabilite”. I pagamenti? All’estero s’incassa mediamente ogni 15 giorni. In Italia non prima di 60.
E gli incentivi per l’azienda multifunzionale? “Qualche anno fa hanno incentivato il biogas. Ma non è come la raccontavano: ha un’idea di quanto costa produrre mais per trasformarlo in energia elettrica? Altro esempio: i pannelli solari. Vanno bene sui tetti, non nei campi: la terra va lavorata, dà lavoro”. Insomma, oggi si incentivano i giovani a iniziare un lavoro che non conoscono a fondo. Occorrerebbe creare un ponte tra la realtà e lo studio teorico.
E la qualità dei prodotti che arrivano sempre più massicciamente dall’estero? L’agricoltore lombardo si augura soltanto che i test sul latte siano più seri di quelli che facevano con le Volkswagen.
“Io ho dei costi di produzione molto più alti che in Polonia – conclude. “Ho dei controlli che mi obbligano a spendere determinate somme per garantire una certa qualità. Se costa troppo poco è evidente che è brodaglia. Ci facciamo imporre le cose dall’Europa ma ci stiamo facendo del male”.
Eh sì, “Come è dura l'agricoltura”…