Sale il prezzo del latte spot, ma il beneficio ricade in favore della minoranza dei produttori, circa 1 su 10, cioè a dire l’equivalente del latte venduto al di fuori di contratti preesistenti. E la situazione nelle stalle, secondo le indagini realizzate da L’Informatore Agrario, rimane pessima per 8 aziende su 10. I pochi virtuosi che fanno reddito (10%) ce la fanno grazie a una gestione perfetta ma ancor più in virtù di un’incidenza light di ammortamenti e oneri finanziari; un peso leggero sul bilancio aziendale che però pochi possono permettersi.
È la sintesi del convegno “Crisi da zootecnia da latte: la sfida si vince con gli indici di efficienza economica e tecnica”, organizzato in occasione della Fiera del bovino da latte. Le stalle eccellenti battono la volatilità più drammatica della storia del latte italiano solo se mettono in fila un ‘percorso netto’ statisticamente difficile, in grado però di fissare il break even point a 31,46 euro ogni 100 litri di latte, di far registrare una produzione lorda vendibile per vacca di 4.883 euro e di marginalizzare ben il 14,5% della produzione lorda vendibile (plv); una media ‘nordeuropea’, che si consegue a patto che si rientri in parametri rigorosi.
A partire da un costo totale della produzione sotto i 40 euro, oppure con le spese per l’alimentazione a meno di 24 euro/100 al litro, della manodopera a meno di 7 di euro/100 L, di ammortamenti e oneri finanziari (meno di 4 euro/100 L) che non possono pesare più del 10% della plv. Il problema è che su quest’ultima voce per 6 aziende su 10 l’incidenza è maggiore fino a 3-4 volte rispetto l’indice di sostenibilità.
Secondo gli esperti della prestigiosa rivista veronese, questa è la terza crisi ciclica registrata in Europa dal 2007 a oggi, ed è la peggiore se non altro per la sua durata – che arriva ormai a 50 mesi – e per il permanere di lunghi periodi ben sotto il livello medio di lungo periodo, fissato a 32,65 euro al quintale. Una volatilità, fanno notare gli analisti, che pesa in modo determinante sugli allevatori europei e “la cui soluzione potrebbe arrivare attraverso un cambio di approccio da parte delle imprese zootecniche a livello individuale e collettivo”.
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