Potrebbe essere un settore in cui primeggiare, sfruttando l'antica sapienza ed un territorio unico al mondo. Invece ci dobbiamo concentrare su infrastrutture che non ci sono, produttori che non collaborano e non "fanno sistema". Su scarsa ricettività che deriva da un uso "primitivo" del web e su un modello di business non al passo dei tempi, che continua forse a vivere in un mondo che non c'è più. Stiamo parlando dell'enoturismo, quella particolare forma di turismo culturale e paesaggistico che, partendo dall'attrazione suscitata dal "nettare degli Dei", richiama centinania di migliaia di stranieri a visitare i territori di produzione.
Almeno ciò vale certamente per paesi nuovi alle produzioni di pregio, su tutti gli anglosassoni (Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda) seguiti dai latini (Cile e Argentina). Sono aziende giovani, fatte di giovani, dalle amplissime estensioni (a proposito di collaborazione..) e decisamente al passo con i tempi. Usano il web, le tecnologie, hanno così sviluppato un deciso approccio al marketing territoriale e non più solo di prodotto.
E L'Italia? L'Italia dispone di più di duecento vitigni ed è il secondo produttore mondiale con 44,2 milioni di ettolitri dietro ai 46,2 milioni dei cugini transalpini. Però è molto indietro, per i motivi che abbiamo visto. Lo afferma senza indugio il XII Rapporto sul turismo del vino presentato alla Borsa italiana del turismo (Bit), dalle Citta' del vino e dell'Universita' di Salerno. Nel 2013 l'enoturismo italiano ha portato al pil tra i 4 ed i 5 miliardi di valuta, decisamente al di sotto delle possibilità nazionali.