L’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera sta influenzando anche i livelli di acidità dei mari. Sebbene le acque per molti anni abbiano svolto la funzione di “tampone”, riducendo gli effetti dei cambiamenti climatici anche sulla terraferma, ora le cose stanno cambiando. A risentirne vi sono molte specie che vivono nel mare e negli oceani e che con un aumento del ph dell’acqua trovano difficoltà a sopravvivere. Tra queste le cozze.
Uno studio dell’Università di Washington, coordinato da Emily Carrington, ricercatrice presso lo stesso istituto, e presentato nel corso del congresso annuale della Society for Experimental Biology, rivelerebbe che con ph che scendono al di sotto della soglia di 7,6, i molluschi come le cozze si trovano in difficoltà poiché i filamenti con cui i mitili si ancorano agli scogli diventano più deboli. Con ph che arrivano a 5 le cozze allenterebbero la presa ai substrati che solitamente le ospitano, di un 25%. Sprofonderebbero così verso i fondali dove sarebbero facile preda per altri crostacei, pesci e altri predatori.
Attualmente il ph medio degli oceani è ancora 8 e la stessa cosa vale per il Mar Mediterraneo. Le previsioni però indicano in 7,8 il valore che si raggiungerà se le cose non cambieranno, entro fine secolo. Il problema in alcune aree già sussiste, perché esistono ad oggi molti luoghi in cui il ph è molto inferiore a 8.
Non tutte le specie di cozze reagiscono allo stesso modo: lo studio dell’Università di Washington ha dimostrato infatti che per esempio il Mytilus trossulus, diffuso nelle baie degli oceani americani, è sensibile anche agli aumenti di temperatura: in acque con temperature superiori ai 18 °C infatti, forma dei filamenti sempre più deboli. Questo potrebbe compromettere la sua sopravvivenza a favore di specie più invasive, come il Mytilus galloprovincialis, la cozza nostrana, che per qualche tempo potrebbe avvantaggiarsi della sua maggiore resistenza, per prendere il posto di altre specie occupando il loro habitat.
Ma le cozze non sarebbero le uniche a soffrire di questa situazione: molti studi precedenti si sono concentrati su molluschi come le vongole, le ostriche e le capesante, sul fitoplancton, sugli pteropodi, sulle stelle serpentine, sui calamari, sui gamberi e su tutte quelle specie dotate di esoscheletri o strutture calcaree che potrebbero risentire di una maggiore acidità delle acque. Tutte queste specie sarebbero in pericolo se la CO2 continuasse a sciogliersi nelle acque generandoacido carbonico.
Una parentesi a parte meritano poi i coralli, il cui indebolimento e imbianchimento si osserva da anni in molte aree del nostro Pianeta. Il cambiamento di questi ecosistemi influenza poi anche la vita di organismi, come il pesce pagliaccio, che vi gravitano attorno. Insomma i nostri oceani stanno cambiando, è difficile prevedere come evolverà la situazione, fatto sta che a fine secolo l’oceano per come lo conosciamo potrebbe non esistere più.